Sinceramente, non voglio accendere una sterile polemica. Vorrei soltanto capire, chiedo forse troppo?
Adesso ti spiego quale mistero del panorama italiano dell’influencer marketing mi sta facendo passare le notti insonne (a discapito anche della mia compagna, che mi sente girare irrequieto per casa in piena notte!).
In ogni evento in cui si parla di marketing digitale, verso la fine di ogni speech che si rispetti arriva il momento di presentare alcuni casi di studio. Il loro scopo è dimostrarti che quella tecnica/strategia di marketing funziona, e non è l’ennesima moda del digitale.
Per quanto l’Italia sia la periferia dell’impero quando si tratta di innovazione tecnologica, in fatto di digital marketing possiamo vantare professionisti di tutto rispetto, con casi di studio originali e all’avanguardia in materia di Facebook Ads, Web Analytics, Web Design, ecc…
Ma quando il tema dell’evento in questione è l’influencer marketing, i professionisti italiani sono preparati quanto lo ero io al liceo durante interrogazioni di italiano (spoiler: avevo la media del 4,5).
Perché quando è il momento di parlare di casi di studio di influencer marketing, gli scenari sono solitamente 2.
Ma hai visto che super campagna ha fatto Coca-Cola con gli influencer?
Nel caso si abbia davanti uno speaker alle prime armi, senza casi di studio originali di campagne da lui gestite, è certo al 100% che ci verranno raccontate le entusiasmanti campagne di influencer marketing di Coca-Cola, Nike, Prada o qualche altro mega brand internazionale.
Di qualcosa dovrà pur parlare il povero speaker, no?
Non è neanche un grande scandalo. Un sacco di professionisti parlano di cose che non hanno mai provato a fare, soprattutto nel mondo digitale (sì, qui c’è una piccola polemica).
Questi casi di studio, per quanto possano ispirare chi li ascolta, sono totalmente inutili per una piccola-media impresa italiana (se non addirittura cancerogeni).
Solo in un mondo parallelo può aver senso che una PMI di Padova, con 10 dipendenti e 20 milioni di fatturato, possa replicare con successo una campagna realizzata da un’azienda con 60.000 dipendenti e 2 miliardi di fatturato. É lo stesso sport, ma un altro campionato.
Certo, non esistono mica solo “consulenti” che non hanno mai fatto una campagna di influencer marketing in vita loro con una PMI italiana.
Qualche professionista che progetta e gestisce queste campagne esiste. Non ho certo inventato io l’influencer marketing.
Ma sono professionisti da cui io consiglierei di tenersi alla larga. Ora ti spiego perché.
Guarda quanti like e cuoricini, non ti bastano?
Il “vero” esperto di influencer marketing, che in teoria lavora in un’agenzia con casi di studio propri, ci tiene molto a raccontarti tutta la storia della campagna (lo capisco, lo faccio anche io con i miei potenziali clienti!).
Dall’ideazione strategica, alle scelta degli influencer, passando per la scrittura del brief operativo.
Ma il bello arriva alla proiezione della slide dei “risultati finali”.
É il momento di massimo autocompiacimento per il consulente. Ti può finalmente mostrare quante impression ha generato la campagna.
Poi sorride, e passa ad illustrare il numero totale di like.
Ancora un sorriso.
Adesso può mostrarti il numero dei commenti.
Un ultimo sorrisone finale con slide riassuntiva di tutta l’enorme copertura, condivisioni, cuoricini e l’engagement stellare ha ottenuto il cliente grazie alla campagna di influencer marketing.
Tutto molto interessante. (cit.)
Ma c’è una domanda che mi urge.
Ma i dati a livello di business? Dove sono?
Stiamo pur parlando di influencer MARKETING, non di influencer PERDIAMO TEMPO E SOLDI.
Ogni azienda che investe in una campagna di influencer marketing deve pretendere che dati ed effetti misurabili.
Azioni dirette e concrete a livello di business.
Quante persone hanno acquistato quel prodotto? Quante persone hanno richiesto informazioni? Quante persone hanno scaricato il codice sconto e sono entrate nella mailing list?
Negli eventi italiani dedicati all’influencer marketing, la presentazione di questi dati è rara come l’aurora boreale.
Ecco perché sostengo che, nel nostro Paese, ci sia una grave mancanza da parte di chi si presenta come “esperto di influencer marketing“.
Fare influencer marketing significa lavorare ad una strategia di MARKETING efficace e misurabile.
Solo mega brand mondiali possono permettersi di investire 20-30 mila euro in una campagna di influencer marketing che ha come obiettivo la “visibilità del prodotto”.
Una campagna deve generare lead, vendite, visite in negozio. Gli unici risultati che contano per una PMI italiana.
Se la campagna funziona (ossia recupero almeno le spese), l’azienda ha fatto esperienza e può reinvestire per cercare di ottimizzare la campagna e portare a casa risultati migliori (sempre vendite, lead, ecc)
Se la campagna fallisce (perché può capitare, non voglio essere ipocrita), l’azienda ha comunque testato il “canale influencer” e ha capito che non è la via giusta.
Ma se si continuano a guardare solo like e cuoricini, è impossibile valutare se la campagna ha portato profitti all’azienda.
É per questo motivo che ho fondato Get Influence.
La necessità di creare delle campagne di influencer marketing a misura di PMI italiana. Per lanciare un nuovo prodotto, o consolidare la propria posizione sul mercato, con azioni di MARKETING misurabili.